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collana diretta da Pierluigi Malavasi

Contributo di Leonardo Salvemini “L’evoluzione emblematica del diritto internazionale ambientale, verso più ampie e coraggiose vie di inculturazione”

L’evoluzione emblematica del diritto internazionale ambientale, verso più ampie e coraggiose  vie di inculturazione 

Locandina dell'evento


Leonardo Salvemini 

Già nella Lettera encliclica Laudato si’ (2015), Papa Francesco apre gli occhi della comunità internazionale su un problema che, ormai da tempo, affligge il nostro Pianeta.  Nel corso dei secoli è emerso “quanto danno abbiamo fatto alle cose e alle persone impostando i nostri modelli di sviluppo in maniera dissennata, per cui abbiamo lasciato che la nostra politica soggiacesse all’economia e l’economia alla tecnologia” (Petrini, 2015, p. 6).  Negli ultimi trent’anni, tuttavia, il degrado ambientale è divenuto preoccupante, ed ha aperto le menti ad una visione meno egoistica del benessere che è oggi sempre più collettivo e meno individuale.  Gli evidenti effetti del cambiamento climatico e i frequenti disastri naturali hanno obbligato la comunità a rendersi conto che le condotte umane producono effetti irreversibili sull’am- biente. Come affermava, già nel 1971, Massimo Severo Gian- nini, quindi, bisogna: 

[prendere] consapevolezza che mentre in precedenti periodi storici c’è stato un equilibrio tra il fatto creativo ed il fatto distruttivo dell’uomo, ovvero, l’uomo creatore ha prevalso sull’uomo distruttore, oggi questo equilibrio si è rotto e prevale l’elemento negativo: le forze distruttive sono maggiori delle forze costruttive (Giannini, 1971, p. 1125).  La presa di coscienza auspicata dall’autore ha richiesto di- versi anni e, ancora oggi, non può ritenersi conclusa.  Si è sviluppata a seguito di rilevanti incidenti che, passo dopo passo, hanno incentivato lo sviluppo di una sensibilità ambientale. Si ricordino, ad esempio, il Grande smog di Lon- dra del 1952, la Nube di diossina in Italia a Seveso, nel 1976, e la Centrale nucleare di Chernobyl in Ucraina del 1986.  Si rammenti, altresì, il primo caso di disastro ambientale che ha richiesto l’intervento congiunto di più Paesi.  Infatti, nel 1941, le emissioni nocive prodotte da una fon- deria canadese nel territorio americano hanno imposto l’isti- tuzione di un Tribunale arbitrale che, riconoscendo l’unicità del caso, ha enunciato una nuova regola di diritto volta ad in- trodurre il divieto di arrecare danni ambientali alle nazioni confinanti: divieto di inquinamento transfrontaliero (caso Trail Smelter).  La pronuncia arbitrale, ha affermato un principio che è di- ventato fondamentale nel panorama internazionale: 

nessuno Stato può usare o permettere che si usi il proprio territorio in modo da provocare danni al territorio di un altro Stato o alle persone e ai beni di proprietà privata che lì si trovino, allorché i danni provocati sono seri e la responsabilità sia chiara al di là di ogni dubbio1

Tale principio è diventato centrale nella politica della co- munità internazionale che ha progressivamente avvertito l’esi- genza di attivarsi per tutelare le risorse della Terra nell’interesse di tutti, soprattutto per le generazioni future (sviluppo soste- nibile – Il rapporto Brundtland conosciuto anche come Our Common Future -– del 1987 dalla Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo – WCED –).  In particolare, dagli anni ’60/’70, le organizzazioni non governative hanno richiesto agli Stati un impegno concreto in detto settore (Lowenfeld, 2008, p. 372). Li hanno chiamati ad aprire un dialogo sulla materia ambientale e a stipulare convenzioni multilaterali, regionali, bilaterali ovvero a predi- sporre strumenti volti a proteggere il patrimonio naturale in ogni sua forma.  È così nato il diritto ambientale internazionale: un insieme di principi, regole e norme comuni, volte a disciplinare i rap- porti ed i comportamenti di tutti i soggetti costituenti la co- munità internazionale, l’ambiente circostante e l’uso equilibrato delle risorse, al fine di garantire uno sviluppo socio-economico sostenibile.  L’evoluzione del diritto internazionale ambientale si è arti- colata in diverse fasi. Si è, in particolare, passati dai rapporti bilaterali, alle dichiarazioni di principi.  In un primo periodo, infatti, il diritto ambientale interna- zionale si fondava esclusivamente sui rapporti tra gli Stati di- rettamente coinvolti nei disastri naturali e sull’adozione di convenzioni bilaterali ovvero sull’istituzione di Tribunali arbitrali appositamente istituiti. Si ricordi, ad esempio, il già ci- tato caso Trail Smelter.  In una seconda fase sono state istituite agenzie e organizza- zioni internazionali che, pur avendo altri scopi ed obbiettivi, hanno inciso anche in materia ambientale. Si pensi, ad esem- pio, alla FAO (Food and Agricolture Organization).  A partire dagli anni ’70, la tutela ambientale ha assunto un peso maggiore nella considerazione della comunità interna- zionale, che ha cominciato a guardare ad essa come ad una questione globale (Antich, 2003).  Si collocano in questo periodo due delle principali dichia- razioni di principi in materia ambientale: la Dichiarazione di Stoccolma sull’ambiente umano del 1972 e la Dichiarazione di Rio sull’ambiente e lo sviluppo del 1992.  La Dichiarazione di Stoccolma sull’ambiente umano del 1972 ha sancito il diritto sovrano degli Stati di sfruttare le proprie risorse con l’obbligo di non causare danni all’ambiente transfrontalieri (principio numero 21) ed invitato gli Stati a risolvere i problemi internazionali ambientali in uno spirito di cooperazione (principio numero 24).  Il summit di Rio ha, invece, rappresentato una svolta epocale per la cooperazione internazionale ambientale: qui, per la prima volta, si è parlato di cooperazione tra le Nazioni, tra il Sud ed il Nord del mondo e, sempre qui, per la prima volta, le grandi potenze hanno riconosciuto la propria responsabilità nel deturpamento del patrimonio naturale globale.  L’obiettivo prioritario dei Paesi che hanno partecipato al summit è stato quello di instaurare “una […] equa partnership globale, attraverso la creazione di nuovi livelli di cooperazione tra gli Stati, i settori chiave della società ed i popoli” (ONU, Dichiarazione di Rio sull’Ambiente e Sviluppo, Rio de Janeiro 1992). 

Si ricordi, inoltre, il già richiamato rapporto Brundtland che, nel 1987, ha delineato un concetto di sviluppo sostenibile, applicabile a qualsiasi settore e in qualunque periodo storico.  Si è, in particolare, parlato di sviluppo sostenibile come di crescita socio-economica in equilibrio ed armonia con la natura e con la specie umana, sia passata che presente. È, quindi, nata l’esigenza di tutelare l’ambiente non solo per i bisogni delle generazioni attuali ma anche, e soprattutto, per quelli delle generazioni future.  Un bisogno che è stato ribadito, nel 2002, nella Dichiara- zione sullo sviluppo sostenibile di Johannesburg e che costi- tuisce il principio fondamentale della normativa ambientale nazionale ed internazionale.  Lo sviluppo sostenibile deve, quindi, costituire oggi un principio guida per le decisioni politiche, economiche e sociali di ogni Paese.  Esso deve essere attuato seguendo i tre pilastri individuati dalla Dichiarazione di Johannesburg: protezione dell’ambiente, crescita socio-economica ed eliminazione della povertà. Si tratta di pilastri tra loro inseparabili, come emerge anche dal- l’Instrumentum Laboris (2019a) per il Sinodo sull’Amazzonia. 

1. L’Amazzonia oltre i confini nazionali 

Nel recente percorso sinodale sull’Amazzonia, si richiama l’at- tenzione sui tre pilastri dello sviluppo sostenibile, enunciati nella Dichiarazione di Johannesburg nel 2002 ed, in partico- lare, sul rapporto tra tutela dell’ambiente ed eliminazione della povertà.  Tale dibattito, ponendo l’attenzione sulla situazione del- l’Amazzonia, ricorda alla comunità internazionale che i problemi ambientali non arretrano dinnanzi ai confini geografici o politici degli Stati ma assumono valore globale. 

Ogni governo, quindi, deve adempiere al “proprio e non delegabile dovere di preservare l’ambiente e le risorse naturali del proprio Paese, senza vendersi a ambigui interessi locali o internazionali” (Papa Francesco, 2015, n. 38).  Qualsiasi situazione ambientale non può e non deve essere considerata un caso a sé stante.  Del resto, se tutto è in relazione, non possiamo pensare che lo stato delle risorse naturali di un Paese non influisca sulla salute o su altri beni fondamentali dei cittadini di un’altra Nazione. E, non vi è dubbio che l’ambiente sia in relazione con diversi beni fondamentali.  La nostra Corte Costituzionale ha, infatti, ricordato, che l’ambiente deve essere “protetto come elemento determinativo della qualità della vita”. La sua salvaguardia non è fine a sé stessa ma risponde all’esigenza di assicurare un habitat idoneo all’esistenza umana (C. Cost., 641/1987).  Se da un lato, è fondamentale affrontare i problemi inerenti il patrimonio naturale in un’ottica globale, dall’altro il rischio di parcellizzazione delle attività di salvaguardia ambientale è elevato.  Ogni Paese tende ad agire autonomamente, senza verificare se le soluzioni adottate possano essere esportate anche in altri punti della Terra.  Non solo, l’azione individuale influisce anche sulla qualità dell’intervento. Non si può, infatti, pretendere che i Paesi po- veri del mondo affrontino le problematiche ambientali con la stessa efficacia di quelli più industrializzati, che hanno a di- sposizione nuove tecnologie ecocompatibili.  In detta prospettiva, la tutela dell’ambiente è strettamente connessa all’eliminazione della povertà ed è evidente che l’obbiettivo dello sviluppo sostenibile non può prescindere da un intervento diretto ad eliminare la stessa. In altre parole, come espresso nell’Instrumentum Laboris (2019a, n. 46) per il Sinodo sull’Amazzonia, ripreso dalla Lettera enciclica Laudato si’ di Papa Francesco (2015, n. 49), “un vero approccio ecologico di- venta sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri”. 

Affinché l’approccio celebrato dal Santo Padre sia recepito dalla comunità internazionale è, tuttavia, necessaria una presa di coscienza. È necessario responsabilizzarsi ovvero capire che i problemi ambientali sono globali e coinvolgono ognuno di noi anche se si verificano dall’altra parte del mondo. 

2. Responsabilità, cultura ed educazione 

Una presa di coscienza dei problemi ambientali necessità di cittadini consapevoli e partecipi delle principali questioni sociali.  Un risultato che può essere raggiunto solo attraverso la dif- fusione della cultura, che deve avvenire educando i giovani a prendersi cura dell’ambiente per tutelare, in primis, sé stessi.  Ecco, quindi, che “la conversione ecologica, la scelta di un altro stile di vita è educazione, un’opera aperta a cui siamo chiamati, in modo consapevole ed intenzionale, lungo tutto l’arco dell’esistenza. Educare è un’alleanza tra l’umanità e l’am- biente” (Malavasi, 2016, p. 31).  Un messaggio che emerge in modo chiaro dalle recenti pa- role di Papa Francesco, il quale, portando il caso Amazzonia all’attenzione della comunità internazionale, intende andare oltre i problemi ambientali che affliggono il territorio sud- americano e sfidare la comunità internazionale affinché “le 

azioni educative vengano oggi interpellate dalla necessità di inculturazione” (Sinodo dei Vescovi per la regione panamaz- zonica, 2019b, n. 57).  In conclusione, i problemi inerenti la salvaguardia del pa- trimonio naturale hanno natura globale. Globali, quindi, de- vono essere le soluzioni offerte per affrontarli come, ad esem- pio, la diffusione dei valori ambientali che, per usare le parole del nostro ex Presidente della Repubblica, sono presidio di ci- viltà per l’umanità (Ciampi, 2005).  Affinché questo avvenga, tuttavia, non basta un diritto in- ternazionale ambientale ma è necessaria un’educazione a co- muni principi ambientali che trascenda i confini geografici e politici ovvero un’inculturazione internazionale. 

Riferimenti bibliografici 

Antich F. (2003). Origine ed evoluzione del diritto internazionale ambientale. Verso una governance globale dell’ambiente. Am- bienteDiritto.it, Messina, 2003. Retrieved from http://www.am- bientediritto.it. 

Ciampi C.A (2005). Dizionario della Democrazia. Milano: San Paolo. 

Giannini M.S. (1971). Diritto dell’ambiente e del patrimonio na- turale e culturale. Rivista trimestrale di diritto pubblico

Lowenfeld A.F. (2008). International Economic Law. Oxford: Oxford University Press. 

Malavasi P. (2016). Ecologia integrale, educazione! In C. Giuliodori, P. Malavasi (Eds.), Ecologia integrale. Laudato si’. Ricerca, formazione, conversion (pp. 31-42). Milano: Vita e Pensiero. 

Papa Francesco (2015). Lettera Enciclica Laudato si’. Sulla cura della casa comune. 

Petrini C. (2015). Guida alla lettura. In Papa Francesco, Laudato si’. Enciclica sulla cura della casa commune (pp. 5-23). Milano:  Edizioni San Paolo.
Sinodo dei Vescovi per la regione panamazzonica (2019a). Instru- 

mentum Laboris, 17 giugno 2019. Retrieved from: http://www.sin- odoamazonico.va/content/sinodoamazonico/it/documenti/l-in- strumentum-laboris-per-il-sinodo-sull-amazzonia1.html 

Sinodo dei Vescovi per la regione panamazzonica (2019b). Amaz- zonia: nuovi cammini per la Chiesa e per un’ecologia integrale. Documento finale, 26 ottobre 2019. Retrieved from: http://- www.vatican.va/roman_curia/synod/documents/rc_synod_doc_2 0191026_sinodo-amazzonia_it.html